Nel 1827 venne scattata ad opera di Niépce la più antica fotografia mai giuntaci. La veduta dalla sua finestra della casa di campagna.

Joseph Nicéphore Niépce nacque nel 1765 nella cittadina di Chalon-sur-Saône da famiglia borghese e benestante. Fece una brillante carriera come inventore (dopo aver più volte pensato a prendere i voti e dopo aver militato nelle armate rivoluzionarie): a lui dobbiamo infatti un primo prototipo di motore a combustione interna, vari prototipi per la propulsione di navi e imbarcazioni, nonché per il pompaggio delle acque.

La vita di Niépce e le sue opere sono così intrecciate con quelle di suo fratello maggiore Claude, al quale era devotamente legato, che la loro storia è congiunta, come  Montgolfier.  Durante i loro anni di attività “camminarono” fianco a fianco nella vita, sostenendosi e aiutandosi a vicenda.

I fratelli fecero rapidi progressi nelle lingue, nelle scienze e nelle lettere.  Avevano un vero amore per l’apprendimento ed essendo di indole gentile e tenera, si accontentavano di loro stessi, non partecipando ai giochi e ai divertimenti abituali dei bambini della loro età. Sembravano nati per le gare della mente e dell’intelligenza.  Niceforo e Claude impiegavano il loro tempo di gioco nella costruzione di piccole macchine di legno con ruote dentate, con il solo aiuto dei loro coltelli.  Queste macchine funzionavano bene, con grande gioia dei loro costruttori; imitavano i movimenti di sollevamento e abbassamento della gru.

Durante la sua giovinezza, Niepce (per la cronaca fu battezzato Giuseppe e che più tardi avrebbe preso il nome di “Niceforo” in onore del Santo Niceforo) servì come ufficiale di stato maggiore sotto Napoleone. Le cattive condizioni di salute costrinsero il giovane ufficiale a dimettersi, ma Niepce poté usare il suo nome e la sua carriera per diventare l’amministratore del distretto di Nizza. In questo ruolo, Niepce divenne una figura impopolare, e molti esperti attribuiscono le sue eventuali dimissioni a seguito di ciò. Ufficialmente, però, Niepce partì per proseguire la “ricerca scientifica” con suo fratello Claude. La sua uscita dalla sfera politica segnò una svolta drammatica nella sua vita e nella storia del mondo.

Nicephore Niepce, come Daguerre e come tutti gli uomini del suo tempo, dovette sottostare all’influenza della grande Rivoluzione. Il 4 maggio 1792 cambiò l’abito clericale, che aveva indossato fino ad allora, con il costume militare ed entrò come sottotenente nel 42° reggimento di linea. Il giovane Niepce fu nominato tenente il 16 febbraio dell’anno I della Repubblica (6 maggio 1793) e partecipò alla spedizione a Cagliari, in Sardegna.

Lo stesso anno (1793) figura nelle file dell’esercito d’Italia, partecipando alle sue gloriose imprese. Il 9 marzo 1794 fu nominato aiutante dell’aiutante generale Frottier, poco dopo fu improvvisamente attaccato da una grave e pericolosa malattia, che lo costrinse a lasciare il reggimento e a cercare asilo nella città di Nizza. Lì, grazie alle cure della padrona della casa in cui viveva, Madame Romero, e alla devozione della figlia Marie-Agnes, recuperò la salute. E con Marie-Agnes  si sposarono  il5 agosto 1794.

Ma la malattia subita aveva intaccato la sua costituzione e, costretto a rinunciare alla carriera militare, si ritirò a Saint Roch, vicino a Nizza, dove visse con la moglie e il fratello Claude.  Fu durante il soggiorno a Saint Roch che i fratelli concepirono l’idea di una forza motrice per spingere le navi senza l’ausilio di vele o remi. La macchina che i fratelli inventarono era messa in moto dall’aria calda (il piroloforo) e, appena tornati nella loro città natale attrezzarono una barca con il loro nuovo apparato e la fecero navigare sulla Senna. e la fecero navigare sulla Senna.  In seguito, quando il governo del Primo Impero mise in palio un premio per una macchina idraulica migliorata che prendesse il posto di quella di Marly, i fratelli Niepce inviarono il modello di una pompa tanto semplice quanto ingegnosa, e per questo nuovo sistema, così come per il loro piroloforo, furono ringraziati dall’Istituto.

Quanto scritto fino ad ora non vuole essere la storia della vita di Niepce, quanto piuttosto il modo di inquadrare l’evoluzione dello stesso nei suoi primissimi anni: come si può capire, fu la sua salute a decidere la strada da percorrere, ed il fatto di essersi gravemente ammalto ha permesso a lui (e all’umanità) di fare passi da gigante nell’ambito fotografico.

Già a partire dal 1790, Niepce aveva cominciato a mostrare interesse per l’uso della luce per riprodurre le immagini. Il tema della cattura della luce e del suo utilizzo nella produzione di immagini non era affatto nuovo, anzi, esisteva già dal Rinascimento. Nonostante ciò, non c’era ancora un tentativo riuscito di utilizzare la luce per ricreare scene di vita reale, e non ce ne sarebbe stato uno per quasi trent’anni.

Anche se non era il suo obiettivo principale, Niepce trascorse diversi anni a sviluppare un sistema che catturasse la luce e la riproducesse per formare un’immagine. Ispirandosi alla litografia, una nuova forma d’arte che prevedeva il trasferimento dell’inchiostro dalla pietra alla carta attraverso la macchina da stampa, Niepce cercò di creare un processo che utilizzava materiale sensibile alla luce per ricreare incisioni sovrapposte alla luce solare. Alla fine, Niepce ebbe successo: nel 1816, Niceforo e Claude (suo fratello) produssero un’immagine nella camera oscura utilizzando carta sensibilizzata con cloruro d’argento, ma poiché i toni erano invertiti e gli sforzi per ottenere stampe positive non ebbero successo, Niceforo passò all’uso del bitume, un ingrediente della vernice resistente che indurisce e diventa insolubile quando esposto alla luce. Si trattava in particolare di bitume polverizzato misto a essenza di lavanda sensibile alla luce della Giudea spalmato su una lastra di rame ricoperta d’argento, Niepce fu in grado di produrre la prima copia fotografica (la prima immagine “automatica”, ovvero non disegnata dalla mano dell’uomo) al mondo. Era il 1822.

Il processo era particolarmente lento: successivamente all’asciugatura della lastra (il negativo), questa venne esposta, in una camera oscura, per alcune ore. Quindi lavata in un bagno alla lavanda (serviva per disciogliere le parti che non avevano ricevuto luce) e posta sopra una scatola di iodio ad asciugare. Una volta asciugata, il risultato fu una lastra che conteneva sia aspetti chiari che scuri. Inizialmente, i ricercatori ritenevano che il tempo di esposizione fosse di circa otto ore, ma esperimenti successivi hanno dimostrato che il metodo di Niepce richiedeva giorni per essere completato (per la cronaca questa immagine esiste ancora oggi, ed è ospitata in un centro di ricerca dell’Università del Texas ad Austin, fa parte della collezione Gernsheim e si distingue per essere la fotografia più antica del mondo.).

Per il positivo Niépce utilizzò dei cristalli di iodio, precipitati in ioduro d’argento al contatto con la lastra. Successivamente “lavò” via la vernice (con alcool) dalla lastra stessa, al fine di ottenere la trasformazione del negativo in positivo (in pratica ha scoperto la eliografia).

Nell’estate del 1827, Niepce espose una lastra di peltro rivestito di bitume nella camera oscura, ottenendo dopo circa otto ore l’immagine di una colombaia nella sua tenuta a Le Gras. Sebbene sia passato dal peltro alle lastre di rame argentate e rivestite di argento e abbia introdotto lo iodio per aumentare la sensibilità della superficie d’argento alla luce, non è stato in grado di diminuire sostanzialmente il tempo di esposizione necessario per ottenere un’immagine. Nella sua ricerca di elementi ottici migliorati, Niepce aveva contattato il costruttore parigino di strumenti ottici Vincent Chevalier, che a sua volta aveva fatto conoscere allo scenografo e proprietario di alcuni Diorama Jacques Louis Mandè Daguerre la natura della sperimentazione a Le Gras di Niepce. L’interesse di Daguerre per l’ottenimento di un’immagine permanente nella camera oscura portò a contatti con Niepce e successivamente a un incontro nel 1827 e alla firma di un atto di collaborazione nel 1829 per portare avanti insieme il processo.

”Vista dalla finestra a Le Gras” - La foto fu realizzata da Nicéphore Nièpce nel 1826-1827 a Saint-Loup-de-Varennes. Catturata su una lastra di bitume grande 20cm × 25 cm trattata con olio. A causa dell'esposizione lunga otto ore, i palazzi furono illuminati dal sole sia dalla sinistra che dalla destra. Foto di pubblico dominio tramite Wikipedia
”Vista dalla finestra a Le Gras” – La foto fu realizzata da Nicéphore Nièpce nel 1826-1827 a Saint-Loup-de-Varennes. Catturata su una lastra di bitume grande 20cm × 25 cm trattata con olio. A causa dell’esposizione lunga otto ore, i palazzi furono illuminati dal sole sia dalla sinistra che dalla destra. Foto di pubblico dominio tramite Wikipedia

 

La foto più vecchia mai realizzata: era il 1825. Questa fotografia, la più antica conosciuta al mondo, rappresenta un'incisione olandese che mostra un uomo che conduce un cavallo. Immagine di pubblico dominio tramite Wikimedia
La foto più vecchia mai realizzata: era il 1825. Questa fotografia, la più antica conosciuta al mondo, rappresenta un’incisione olandese che mostra un uomo che conduce un cavallo. Immagine di pubblico dominio tramite Wikimedia

Niepce chiamò questo processo “eliografia”. Oggi, questo processo è documentato come il primo sistema fotografico di successo al mondo.

Ultima nota: nel 1826, ad onore di cronaca, Hans Thøger Winter “avrebbe” ottenuto dei negativi fotografici stabili. Nel 1828 fu James M. Wattles ad ottenere delle fotografie stabili (in entrambi i casi non vi sono prove).

Grazie a Niepce si aprirono le porte della fotografia: fu grazie a lui e Daguerre che fu possibile “rivendicarne” l’invenzione qualche anno dopo. Ufficialmente, la fotografia (come la conosciamo) nacque il 7 gennaio 1839 quando lo studioso e politico François Jean Dominique Arago spiegò nei dettagli all’Accademia di Francia l’invenzione di Louis Mandé Daguerre, la dagherrotipia.

Va comunque detto che oltre a Niépce e a Daguerre, la fotografia ha un altro padre: il fisico inglese William Henry Fox Talbot, inventore della fotografia come noi oggi la intendiamo, ovvero una matrice riproducibile potenzialmente all’infinito.