La genesi dell’Anytar affonda le radici nella missione tecnologica avviata dal Giappone post-bellico, quando l’intero paese era impegnato in una corsa contro il tempo per colmare il divario tecnologico esistente con l’Europa nel settore ottico. Nel periodo immediatamente successivo al conflitto, il governo giapponese e le principali aziende industriali si trovarono costrette a ripensare e modernizzare le proprie infrastrutture tecnologiche, sfruttando ogni opportunità per importare competenze e know-how dall’Europa. Fu in questo clima di rinnovato fervore innovativo che, nel 1921, la Nippon Kōgaku intraprese una strategia rivoluzionaria: l’assunzione di otto ingegneri tedeschi, tra cui spiccava la figura di Heinrich Acht, rinomato esperto di matematica ottica formato alla Carl Zeiss. Questi specialisti erano considerati essenziali per tradurre la complessità della tecnica europea in un contesto industriale giapponese, dove le risorse e le materie prime, pur essendo di elevata qualità, differivano nei parametri ottici e chimico-fisici rispetto ai corrispettivi tedeschi.
A Heinrich Acht fu affidato il compito di dirigere il reparto di progettazione, incaricato di studiare e replicare in maniera ottimizzata il modello di obiettivo più diffuso all’epoca, il Tessar 150mm f/4.5. Tale obiettivo, da sempre considerato lo standard per fotocamere a lastre, era il simbolo della convergenza tra arte e scienza nel campo della fotografia. La scelta del Tessar non era casuale: esso rappresentava un compromesso eccellente tra prestazioni ottiche e semplicità costruttiva, capace di offrire immagini nitide e ben definite. Tuttavia, l’operazione di replicazione non poté prescindere dal confronto diretto con le peculiarità dei materiali locali. Il nome “Anytar” nacque dalla fusione concettuale di “Anytime” e “Tessar”, a simboleggiare l’intento di creare un obiettivo versatile e adatto a molteplici condizioni, capace di operare con la stessa efficienza in qualsiasi contesto e in ogni situazione d’uso.
Il brevetto originale del Tessar, depositato con il DRP 142294 nel 1902, fu studiato meticolosamente dai tecnici nipponici. Tuttavia, ben presto divenne evidente che le differenze intrinseche nei vetri ottici disponibili in Giappone richiedevano significativi riadattamenti. In particolare, il vetro borosilicato giapponese, pur possedendo caratteristiche simili a quello tedesco, presentava un indice di rifrazione pari a n=1.510 rispetto al valore 1.516 del vetro tedesco tradizionale. Questa sottile ma determinante differenza imponeva una riprogettazione accurata delle curvature delle lenti, al fine di mantenere una correzione ottimale delle aberrazioni cromatiche e sferiche, elemento cruciale per non compromettere la qualità dell’immagine finale.
Architettura ottica e innovazioni tecniche: l’ingegneria al servizio della perfezione visiva
L’Anytar nacque come risposta a una sfida ingegneristica che andava ben oltre la mera replicazione di un modello esistente: si trattava di reinterpretare uno schema ottico consolidato, adattandolo alle condizioni specifiche della produzione giapponese e alle nuove esigenze del mercato. Il progetto si fondava sullo schema ottico del Tessar, che prevedeva l’impiego di due doppietti affiancati, con lenti realizzate in materiali differenti – elementi anteriori in crown e posteriori in flint – che lavoravano in sinergia per minimizzare le aberrazioni. Questa scelta progettuale, estremamente simmetrica, assicurava non solo un’ottima definizione dell’immagine ma anche un’elevata correzione cromatica su più lunghezze d’onda.
Il primo prototipo funzionante, l’Anytar 120mm f/4.5, fu completato nel 1925, segnando un importante passo avanti per la Nippon Kōgaku. I test effettuati su banco ottico rivelarono un indice di qualità misurato attraverso la Modulation Transfer Function (MTF) pari al 68% a 30 linee/mm, comparabile con il 72% riscontrato nel Tessar originale. Tale prestazione, seppur leggermente inferiore, evidenziava la necessità di ulteriori perfezionamenti, soprattutto per quanto riguarda le aberrazioni sferiche residue, attribuibili in parte alla minore dispersione del vetro locale.
Il progresso fu rapido e, nel 1927, grazie all’introduzione di lenti cementate al Canada balsamo, si riuscì a ridurre le riflessioni interne del sistema ottico di circa il 15%. Questa innovazione non solo migliorò la trasmissione della luce, ma contribuì anche a diminuire ulteriormente le aberrazioni, consolidando l’affidabilità dell’Anytar in condizioni di ripresa particolarmente esigenti. La scelta dei materiali e il perfezionamento dei processi di lucidatura e montaggio delle lenti dimostrarono una profonda comprensione della fisica ottica e della chimica dei vetri, elementi imprescindibili per raggiungere prestazioni al top.
La versione definitiva del 1929 dell’Anytar presentava una configurazione ottica estremamente raffinata: quattro elementi ottici, suddivisi in due gruppi, venivano assemblati con precisione maniacale. L’Elemento 1, realizzato in crown al bario con un indice di rifrazione pari a 1.568 e un numero di dispersione V pari a 58.9, rappresentava la parte anteriore dell’ottica, mentre l’Elemento 2, in flint pesante (n=1.612, V=36.2), e l’Elemento 3, in flint leggero (n=1.588, V=40.1), costituivano il nucleo centrale. L’Elemento 4, realizzato in crown al sodio (n=1.517, V=64.2), completava il sistema, garantendo una correzione cromatica accurata su tre lunghezze d’onda critiche (486nm, 589nm, 656nm). La precisione con cui queste specifiche erano state calibrate permise di raggiungere un errore secondario minimo, pari a soli 0.008%, una prestazione paragonabile a quella dei migliori obiettivi tessar tedeschi.
In parallelo alle sfide ottiche, il progetto Anytar dovette affrontare questioni meccaniche e costruttive. L’innovazione chiave risiedeva nel montaggio meccanico: anziché utilizzare i tradizionali barilotti in ottone, venne sviluppato un corpo in lega di alluminio pressofuso dotato di filettatura M40x0.75. Questa scelta ingegneristica comportò una riduzione del peso complessivo dell’obiettivo di circa il 30%, passando da 450g a 320g, con un impatto positivo non solo sulla maneggevolezza ma anche sulla resistenza alle variazioni termiche. I test effettuati sul campo nel 1928 dimostrarono come l’obiettivo mantenesse la collimazione anche a temperature critiche fino a -20°C, condizione indispensabile per le riprese in ambienti estremi, quali quelle aeronautiche o militari.
Produzione industriale e varianti: diversificazione e perfezionamento del prodotto
Il successo dell’Anytar non fu determinato solo dalle sue prestazioni ottiche, ma anche dalla capacità della Nippon Kōgaku di adattare la produzione industriale alle diverse esigenze del mercato fotografico. Tra il 1929 e il 1937, furono prodotte ben sette varianti dell’Anytar, ognuna studiata per rispondere a specifiche applicazioni, sia nel campo della fotografia artistica che in quello della fotografia aerea e militare.
Una delle prime varianti fu l’Anytar 75mm f/4.5, ideato nel 1929 per fotocamere portatili a formato 6×9 cm. Questa versione, pur mantenendo la versatilità dell’ottica originale, era caratterizzata da una messa a fuoco minima di circa 1 metro, rendendola particolarmente adatta per riprese in spazi ristretti o per applicazioni amatoriali. L’Anytar 105mm f/4.5, introdotto nel 1930, fu invece concepito come una versione “universale”, capace di offrire risultati eccellenti sia per ritratti che per paesaggi, bilanciando l’ampiezza di campo con una resa cromatica impeccabile.
L’innovazione continuò con l’Anytar 120mm f/4.5 del 1931, che incorporava un rivestimento antiriflesso al fluoruro di magnesio. Questa modifica, pur apparendo come un dettaglio tecnico, incrementò la trasmissione luminosa dell’obiettivo fino al 92%, consentendo di catturare immagini con un contrasto notevolmente migliorato anche in condizioni di luce ridotta. Nel 1932 fu presentato l’Anytar 150mm f/4.5, particolarmente apprezzato per la fotografia architettonica grazie a una precisa correzione della distorsione, misurata in appena 0.8%.
Un ulteriore salto di qualità fu rappresentato dall’Anytar 180mm f/5.6, sviluppato nel 1933 per applicazioni in ambito militare, in particolare per i telemetri della Marina. Quest’ottica, ottimizzata per riprese a distanza, garantiva prestazioni affidabili anche in condizioni operative estreme. L’Anytar 250mm f/6.3, introdotto nel 1934, presentava un gruppo frontale amovibile, un’innovazione che ne agevolava la conversione in ottica macro, ampliando così il campo di applicazioni dell’obiettivo. Infine, l’Anytar 360mm f/6.8, sviluppato nel 1935, fu progettato specificamente per le riprese aeree ed era montato su ricognitori come il Nakajima C6N, contribuendo in maniera decisiva alle operazioni di ricognizione militare.
La produzione industriale dell’Anytar richiese l’adozione di tecnologie all’avanguardia per l’epoca. Macchinari di precisione come i torni Leinen tedeschi furono utilizzati per la realizzazione delle filettature, mentre le presse idrauliche Schmidt vennero impiegate per lo stampaggio delle lamelle del diaframma. Ogni esemplare prodotto subiva un rigoroso collaudo ottico della durata di 72 ore, durante il quale venivano effettuati test di risoluzione utilizzando target standard USAF 1951 e misurazioni di contrasto mediante fotometri a selenio. Questi accorgimenti garantivano che ogni obiettivo rilasciato sul mercato rispettasse standard di qualità elevatissimi, contribuendo a consolidare la reputazione di eccellenza della Nippon Kōgaku.
Ruolo nella fotografia aerea e militare: un alleato strategico nelle operazioni critiche
L’Anytar trovò il suo habitat naturale all’interno della fotografia aerea, un settore di primaria importanza per l’esercito imperiale giapponese, e si dimostrò subito un elemento imprescindibile nelle operazioni militari e di ricognizione. La versione da 360mm f/6.8, in particolare, fu adottata a partire dal 1933 sulle fotocamere Aero-NIKKOR, strumenti essenziali per le operazioni di sorveglianza aeree. Grazie alle sue caratteristiche tecniche, l’obiettivo era in grado di garantire riprese da quote elevate, fino a 5.000 metri, mantenendo una risoluzione di 40 linee/mm su pellicola pancromatica. Tale performance permise agli operatori di distinguere dettagli fini, come oggetti di dimensioni di 50 cm a terra, un aspetto cruciale per il rilevamento artiglieresco e il coordinamento delle operazioni sul campo.
Parallelamente, la versione 180mm f/5.6 fu adattata specificamente per i telemetri della Marina giapponese. Questo modello fu progettato per resistere alle condizioni estreme delle operazioni navali, caratterizzate da sbalzi termici e pressioni elevate. La presenza di un sistema di messa a fuoco a cremagliera, completamente impermeabile fino a 10 atmosfere, insieme all’utilizzo di lenti in vetro Pyrex, assicurava una stabilità ottica quasi perfetta, mantenendo la collimazione entro una tolleranza di ±0.002mm. Tali innovazioni dimostravano come il progetto dell’Anytar non si limitasse a replicare un modello esistente, ma evolvesse costantemente per rispondere a esigenze tecniche estremamente sofisticate, tipiche degli ambienti militari.
La capacità dell’Anytar di operare in condizioni operative estreme non era solo il risultato di una progettazione ottica avanzata, ma anche di una profonda integrazione tra componenti meccaniche e trattamenti superficiali innovativi. La riduzione del peso dell’obiettivo, conseguente all’impiego di un corpo in lega di alluminio pressofuso, si traduceva in un apparato più maneggevole e resistente, fondamentale per le operazioni aeree dove ogni grammo risparmiato poteva fare la differenza. Le riprese aeree effettuate durante la guerra sino-giapponese, ad esempio, permisero di ottenere immagini di straordinata chiarezza e dettaglio, contribuendo significativamente alla capacità di pianificazione e coordinamento delle operazioni militari.
Transizione verso i NIKKOR e l’evoluzione dell’eredità tecnologica
A partire dal 1933, con il lancio della prima fotocamera Aero-NIKKOR, si assistette a una graduale transizione nel panorama degli obiettivi prodotti dalla Nippon Kōgaku. Il marchio Anytar, pur avendo rappresentato un baluardo di innovazione tecnica per più di un decennio, iniziò a cedere il passo a una nuova identità tecnologica, quella dei NIKKOR. Questo passaggio non significava la fine di un’epoca, ma piuttosto l’integrazione e il perfezionamento delle innovazioni sviluppate con l’Anytar nei progetti successivi.
Tra le innovazioni che migrarono dal progetto Anytar alla serie NIKKOR, spiccava il trattamento antiriflesso a doppio strato, inizialmente testato sull’Anytar 120mm. Tale tecnica venne ulteriormente perfezionata e divenne uno standard a partire dal 1935, contribuendo in maniera determinante alla riduzione delle perdite di luce e alla migliorata resa cromatica degli obiettivi. Parallelamente, la tecnologia relativa all’impiego di leghe di alluminio per la costruzione dei barilotti venne raffinata e applicata in modelli successivi, come il NIKKOR-H 300mm f/2.8 del 1972, che si distinse per leggerezza e stabilità in condizioni critiche.
L’evoluzione dello schema ottico, che aveva le sue radici nella struttura simmetrica del Tessar, si trasformò ulteriormente con il passaggio alle reflex. Il modello NIKKOR-S 50mm f/1.4, introdotto nel 1950, rappresentò un’evoluzione significativa, integrando le conoscenze acquisite durante lo sviluppo dell’Anytar e adattandole alle esigenze delle fotocamere reflex, che richiedevano velocità, precisione e una resa cromatica impeccabile. L’eredità tecnologica dell’Anytar si consolidò nel tempo, tanto che alcuni principi progettuali, come la correzione del coma e la minimizzazione delle aberrazioni cromatiche, rimasero parte integrante del DNA ottico dei modelli NIKKOR. Un esempio lampante è il NIKKOR 105mm f/2.5 del 1971, celebre per essere stato utilizzato da Steve McCurry nel ritratto iconico della “Ragazza Afgana”, il cui design derivava direttamente dalle ottimizzazioni apportate all’Anytar 105mm.
Nonostante l’ultimo obiettivo denominato Anytar sia stato prodotto nel 1942, il suo impatto e la sua influenza continuarono a farsi sentire ben oltre quella data. Le soluzioni ingegneristiche e i processi produttivi sviluppati durante quel periodo costituirono la base per una serie di successi che, nel corso degli anni ’50, ’60 e persino ’80, continuarono a definire gli standard qualitativi e prestazionali nel settore degli obiettivi fotografici. L’evoluzione tecnologica non fu solo una questione di aggiornamenti incrementali, ma rappresentò un vero e proprio salto qualitativo, in cui ogni innovazione si fondava su una solida esperienza maturata durante lo sviluppo e la produzione dell’Anytar.