Il flash è un dispositivo in grado di emettere lampi di luce di breve durata (viene anche chiamato in gergo lampeggiatore), lampi che possono essere sincronizzati (nella sua eccezione standard e moderna) o meno con l’otturazione della macchina fotografica.
Il primo modello di flash elettrico realizzato fu opera di H.F. Talbot che, nel lontano 1851 (era il 14 giugno, per la precisione), utilizzò una scarica elettrica molto forte per fotografare un oggetto in movimento: un esperimento che tale rimase per tantissimo tempo, visto che il lampeggiatore elettronico fu perfezionato e adottato solo cento anni dopo, circa.
Il flash, o meglio il lampo di luce in grado di rendere luminosa una scena buia, affonda le proprie radici all’inizio del 1800 (precisamente nel 1808), quando furono effettuati i primi scatti con l’ausilio dell’illuminatore a magnesio. I problemi però alla base di questo tipo di illuminazione erano due: l’altissimo costo del magnesio (solo dopo il 1860 il prezzo crollerà rendendolo disponibile ai fotografi del tempo) e la sensibilità spettrale delle emulsioni fotografiche che mal si legava con l’uso di luce artificiale.
Proprio per questo motivo, furono in tanti a cercare una soluzione differente e, il 14 giugno del 1851, H.F. Talbot ebbe l’intuizione di effettuare una fotografia di un oggetto in movimento illuminandolo con una fortissima scarica elettrica: esperimento perfettamente riuscito ma che rimase fine a sé stesso. Bisognerà infatti aspettare altri cento anni prima che questa tecnica, oggi usata da tutti, venga affinata.
Torniamo al magnesio: all’inizio del XX secolo furono immesse sul mercato le emulsioni pancromatiche (create da Hermann Vogel nel 1873, prodotte per la prima volta nel 1906 da Wratten & Wainwright). Queste nuove emulsioni fotografiche avevano un indubbio vantaggio: erano in grado di reagire ad una scala cromatica ben più ampia di quelle disponibili nell’800 grazie all’aggiunta di alcuni coloranti nell’emulsione stessa. Preciso, infatti, che le prime lastre fotografiche erano sensibili solo al colore Blu mentre verde, giallo e rosso erano riportati, sulla stampa, come dei grigi più o meno scuri (nel 1882 furono create emulsioni sensibili al verde, nel 1903 all’arancione ed infine nel 1905 al rosso). Queste lastre erano inoltre molto “rapide”: per impressionarle era sufficiente un tempo di scatto di appena 1/100 di secondo.
L’arrivo delle emulsioni pancromatiche permise lo scatto di una fotografia in condizioni di luce ridotta utilizzando, appunto, un illuminatore artificiale alimentato a magnesio: la polvere di magnesio veniva incendiata in modo da generare un lampo (bluastro) e quindi rischiarare la scena.
A parte l’illuminatore a magnesio “vivo”, il cui svantaggio era la produzione di fumi e di ossido di magnesio, nella seconda metà del 1800 è stato portato avanti lo studio di una soluzione più comoda, ovvero una lampada “chiusa” che potesse trattenere i residui della combustione. Fu J. Mc Clellan, nel 1893, a brevettare un bulbo di vetro (invero per la fotografia subacquea) con all’interno un filo ricoperto di magnesio. Sette anni dopo, il 14 giugno 1900, Erwin Quedenfeldt brevettò la prima vera lampada flash: in una lampada elettrica il filamento era ricoperto di magnesio ed il passaggio di elettricità nel filamento causava l’accensione (e quindi il lampo) del magnesio.
Nel frattempo, cominciarono a diffondersi le prime pile a secco e questo permise di rendere il flash al magnesio un oggetto trasportabile, anche se ancora privo di sincronismo con l’otturatore della macchina fotografica.
Nel 1925, ad opera di Paul Vierkotter, avvenne la vera rivoluzione: fu brevettato l’antesignano del flash moderno (ricordate i “cubi” che si usavano alcuni anni or sono sulle analogiche?), composto da un bulbo di vetro in cui era contenuto ossigeno a bassa pressione e della polvere incendiaria a base di magnesio. Un filamento alimentato da elettricità ne provocava “l’esplosione” con conseguente rilascio di illuminazione per una frazione di secondo. Due anni dopo il magnesio venne sostituito con dei fogli di alluminio e nel 1929 venne immessa sul mercato la prima lampada commerciale basata su questo brevetto, ad opera di Johannes Ostermeier e chiamata lampada Vakublitz.
Fu questo l’inizio della corsa agli illuminatori: nel 1930 arrivò la Sashalite, nel 1933 la Photoflux la cui caratteristica era quella di avere una macchia di colore in grado di far capire al fotografo se il vetro era danneggiato o meno. Questo perché, prima di allora, molte lampadine letteralmente scoppiavano creando non pochi danni al fotografo.
Furono quindi ideati i flash multipli chiamati per esempio Flashcubes, Magicubes o Flipflash: delle piccole lampadine inserite all’interno di una struttura in grado di farli incendiare in sequenza.
Nel 1935 la reflex Exakta (modello B) fu equipaggiata di contatti elettrici di serie per comandare un flash: si apre l’era della sincronizzazione, resa disponibile sulla maggior parte delle macchine fotografiche agli inizi degli anni ’50.
Nel 1966 viene immesso sul mercato l’ultimo prodotto a base di magnesio, che in tanti ricorderanno: è il cuboflash (in vendita fino agli anni 80 per le macchine fotografiche economiche).
La rivoluzione finale avviene poi nella seconda metà degli anni ’80 quando viene introdotto il concetto di flash TTL (through the lens), che permette una misurazione più precisa della luce riflessa dal soggetto attraverso l’obiettivo della fotocamera, garantendo esposizioni ottimali. Infine, nel 2003, Nikon introduce l’evoluzione iTTL, che porta ulteriori miglioramenti in termini di precisione e flessibilità nella gestione dell’illuminazione.
In conclusione, il flash ha percorso una lunga strada evolutiva, partendo dai primi esperimenti con la luce al magnesio, passando per l’introduzione delle emulsioni pancromatiche, fino ad arrivare ai moderni sistemi TTL. Oggi, il flash è uno strumento fondamentale per i fotografi di tutto il mondo, consentendo di scattare immagini in una vasta gamma di condizioni di illuminazione.