Il termine camera obscura (in italiano camera oscura) fu coniato da Giovanni Keplero (fece cenno a questo nome nella sua opera Paralipomena ad Vitellionem) ed indicava un ambiente buio dalle differenti dimensioni (poteva essere una scatola o anche una stanza), in cui, su una parete, era praticato un foro stenopeico (dal greco stenòs, stretto, e opé, foro). Attraverso il foro stenopeico i raggi luminosi provenienti da oggetti esterni si incrociano proiettando sulla parete opposta un’immagine capovolta degli stessi oggetti. Tanto più piccolo è il foro stenopeico tanto più nitida è l’immagine proiettata, il tutto però a scapito della luminosità (che al contrario aumenta con l’aumentare della luce).

Il filosofo cinese Mo-Ti, vissuto nel periodo che va dal V al IV secolo a.C., occupa una posizione di rilievo nella storia delle prime intuizioni sulla fotografia. Egli fu il fondatore della scuola del Mohismo, una corrente di pensiero che si sviluppò come reazione alle dottrine confuciane e taoiste del suo tempo. Mo-Ti non solo si dedicò a questioni filosofiche ed etiche, ma si interessò anche di scienza e fenomeni naturali, gettando le basi per la sua straordinaria osservazione sulla cattura dell’immagine.

Nel suo trattato, Mo-Ti riportò l’osservazione di un fenomeno che avrebbe anticipato il concetto di camera oscura, un dispositivo che sarebbe diventato fondamentale per la nascita della fotografia. Egli descrisse come i raggi di luce riflessa di un oggetto illuminato, quando passavano attraverso un foro stenopeico praticato in una scatola oscurata, creassero un’immagine invertita e fedele dell’oggetto stesso all’interno della scatola. Questo processo, anche se lontano dall’essere una forma di fotografia completa, rivelò una comprensione fondamentale dell’interazione tra luce e visione.

Questo concetto di base, proposto da Mo-Ti, rivela una profonda curiosità nei confronti del comportamento della luce e del modo in cui può essere manipolata per creare immagini. La sua osservazione sottolineò il potenziale della luce nel registrare la forma degli oggetti e rivelò un’intuizione che avrebbe avuto un ruolo significativo nelle future scoperte legate alla cattura dell’immagine. Nonostante l’assenza di mezzi tecnologici sofisticati, l’osservazione di Mo-Ti aprì una breccia nella “realtà visiva” dell’epoca, anticipando una dimensione completamente nuova di esplorazione e rappresentazione visiva. In pratica, ha fornito una prima, rudimentale descrizione di quella che diventerà la camera oscura.

Nel secolo successivo, durante il fervore intellettuale della Grecia antica, un altro grande filosofo emerge come un ulteriore pioniere delle prime intuizioni sulla fotografia (siamo circa nel 300 a.C.). Aristotele, noto per le sue profonde riflessioni su una vasta gamma di argomenti, comprese le sfumature dell’interazione tra luce e oggetti. Le sue osservazioni durante un’eclissi solare hanno offerto un ulteriore pezzo di questo enigmatico mosaico primordiale.

Durante l’oscuramento del sole in un giorno di eclissi, Aristotele rivolse la sua attenzione verso un albero circostante. Attraverso gli interstizi tra le foglie, egli notò con stupore l’immagine proiettata a forma di mezzaluna del sole. Questa immagine, creata dai raggi di luce che filtravano attraverso gli spazi tra le foglie, si manifestava sul terreno. Pur non essendo un processo fotografico nel senso moderno, questa osservazione segnò una tappa cruciale nell’evoluzione della comprensione dell’interazione tra luce e oggetti.

Aristotele non solo aveva dimostrato che la luce può essere utilizzata per creare immagini, ma aveva anche posto le basi per ulteriori indagini sulla natura della riflessione luminosa. Questo episodio rappresentava un passo avanti nella comprensione di come la luce potesse essere manipolata e utilizzata come strumento per rivelare aspetti nascosti del mondo visibile. La sua osservazione sottolineava il potere della luce nel rivelare aspetti sorprendenti e spesso nascosti della realtà circostante, aprendo la strada a un percorso di esplorazione che avrebbe portato a futuri sviluppi nel campo della cattura dell’immagine

Il primo, vero accenno alla camera oscura è da attribuirsi allo studioso arabo Hassan ibn Hassan (noto anche come Ibn al Haytham o Alhazen) che, nel X secolo, descrisse nei suoi scritti quella che può essere definita una camera oscura a tutti gli effetti. I manoscritti delle sue osservazioni si trovano nella India Office Library di Londra).

Nel saggio “Sulla forma dell’eclissi” di Ibn al Haytham, troviamo queste parole: L’immagine del sole al momento dell’eclissi, a meno che non sia totale, dimostra che quando la sua luce passa attraverso un foro stretto e rotondo e viene proiettata su un piano opposto al foro, assume la forma di una falce di luna. L’immagine del sole mostra questa peculiarità solo quando il foro è molto piccolo. Quando il foro si allarga, l’immagine cambia.

In ogni caso, le descrizioni del XVI secolo di Leonardo da Vinci, Vitruvio e Girolamo Cardano in Italia e di Erasmus Reinhold e Gemma-Frisius nel Nord Europa rendono difficile assegnare date esatte o la paternità alla realizzazione della prima camera oscura, ma i riferimenti al Magiae naturalis di Giovanni Battista della Porta del 1558 indicano che l’apparecchio era ormai familiare a scienziati, maghi e artisti. Nel XVII secolo, la camera oscura era emersa come strumento necessario per l’elaborazione di nuovi concetti di rappresentazione pittorica, in cui artisti e disegnatori rappresentavano gli oggetti e lo spazio come se fossero visti da un’unica posizione e da un unico punto nel tempo.

Ed infatti la camera oscura venne impiegata principalmente per osservare la luce e studiarne il comportamento. Troviamo inoltre riferimenti alla camera oscura nei lavori di Ruggero Bacone nel XII secolo (si dice che Ruggero Bacone abbia inventato la camera oscura poco prima dell’anno 1300, ma questo non è mai stato accertato dagli studiosi ed è più plausibile che abbia creato una sorta di stanza scura con un foro per osservare le eclissi solari), di Guglielmo di Saint-Cloud nel XIII secolo ma soprattutto, come accennato poc’anzi,  in quelli di Leonardo da Vinci (1452-1519) che utilizzò la camera oscura per descrivere e spiegare alcuni fenomeni ottici quali l’inversione delle immagini presenti nel campo visivo da destra a sinistra o per descrivere il funzionamento di alcune funzioni visive quali l’apertura della pupilla, tecnicamente simile all’apertura del foro stenopeico.

Figure 2 Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium" di Giovanni Battista Della Porta, 1584 (Napoli, Orazio Salviani, 1589), conservato presso la Biblioteca del Liceo Classico Agostino Nifo di Sessa Aurunca
 Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium” di Giovanni Battista Della Porta, 1584 (Napoli, Orazio Salviani, 1589), conservato presso la Biblioteca del Liceo Classico Agostino Nifo di Sessa Aurunca

Ed ecco per la cronaca uno stralcio del Codice Atlantico in cui si descrive, appunto, la camera obscura: “La sperientia che mostra come li obbietti mandino le loro spetie over similitudini intersegate dentro all’ochio nello umore albugino si dimostra quando per alcuno piccolo spiraculo rotondo penetrano le spetie delli obbietti alluminati in abitatione fortemente oscura; allora tu riceverai tale spetie in una carta bianca posta dentro a tale abitatione alquanto vicina a esso spiraculo e vedrai tutti li predetti obbietti in essa carta colle lor propie figure e colori, ma saran minori e fieno sotto sopra per causa della detta intersegatione li quali simulacri se nascierano di loco alluminato dal sole paran propio dipinti in essa carta, la qual uole essere sottilissima e veduta da riverscio, e lo spiracolo detto sia fatto in piastra sottilissima di ferro”.

Più o meno nello stesso periodo temporale, il veneziano Daniel Barbaro scriveva della “macchina fotografica”: Chiudi tutte le persiane e le porte fino a che nessuna luce entri nella macchina fotografica se non attraverso l’obiettivo, e di fronte tieni un pezzo di carta, che muovi avanti e indietro fino a che la scena appare nel dettaglio più nitido. Lì sulla carta vedrai l’intero panorama come è realmente, con le sue distanze, i suoi colori e le ombre e il movimento, le nuvole, l’acqua che scintilla, gli uccelli che volano. Tenendo fermo il foglio si può tracciare con la penna l’intera prospettiva, ombreggiarla e colorarla delicatamente osservando l’immagine originale

Nello stesso periodo temporale di Leonardo, anche il monaco benedettino Francesco Maurolico (nella “Photismi de lumine et umbra ad perspectivam et radiorum indicentiam facientes” realizzata nel 1521) fornisce una delle prime descrizioni scientifiche del funzionamento dell’occhio e descrive la camera oscura ed il suo funzionamento.

Fu infine il matematico olandese Rainer Frisius a disegnare per primo la camera oscura (1544).

 

Gemma Frisius. Immagine di pubblico dominio tramite Wikipedia
Gemma Frisius. Immagine di pubblico dominio tramite Wikipedia

La camera obscura (o oscura) ha successivamente interessato svariati personaggi in giro per il mondo e tantissimi modelli, dalle forme anche bizzarre, hanno visto la luce. La forma più classica è quella di una scatola di legno, rettangolare, con una foto stenopeico su di un lato ed una lastra dalla parte opposta dove osservare l’immagine. L’immagine in questione appariva capovolta ed è stata utilizzata, come già detto in precedenza, da più di un pittore per catturare su tela dei panorami nella maniera più fedele possibile.

La camera obscura (o oscura) subì svariate modifiche nel corso degli anni: nella metà del XVI secolo (e più precisamente nel 1550) Girolamo Cardano applicò per primo una lente biconvessa dinanzi al foro stenopeico per rendere l’immagine più nitida. Successivamente, nel 1569, il veneziano Daniele Barbaro (di cui abbiamo già parlato poc’anzi) introdusse un diaframma dalla dimensione inferiore a quella della lente al fine di migliorare ulteriormente la qualità dell’immagine riflessa. Nel 1951 Giovanni Battista della Porta (nel suo lavoro Magiae Naturalis) descrisse un apparecchio munito di lente in grado di rendere le immagini più nitide. All’interno di questo apparecchio era anche descritto uno specchio concavo al fine di “raddrizzare” le immagini: si tratta, più o meno, di quanto accade nelle moderne reflex dove grazie ad un vetro smerigliato è possibile vedere l’immagine diritta attraverso il mirino.

Lo stesso Giovanni Battista della Porta costruì un’enorme “camera” nella quale faceva sedere i suoi ospiti, avendo predisposto che un gruppo di attori si esibisse all’esterno in modo che i visitatori potessero osservare le immagini sul muro. Si racconta, tuttavia, che la vista delle immagini recitate capovolte fu troppo per i visitatori: molti di loro furono presi dal panico e fuggirono, e Giovanni Battista fu poi portato in tribunale con l’accusa di stregoneria.

Sebbene il racconto di Battista sia avvolto in uno studio sull’occulto, è probabile che da quel periodo in poi molti artisti abbiano usato una camera oscura per aiutarsi a disegnare, anche se, sia a causa dell’associazione con l’occulto, sia perché sentivano che in qualche modo la loro abilità artistica veniva sminuita, pochi avrebbero ammesso di usarla. Occhio che esistono tantissimi casi di pittori che hanno realmente usato la camera oscura per aiutarsi: tra questi possiamo ricordare Giovanni Canale – meglio conosciuto come Canaletto (1697- 1768), Vermeer (1632-1675), Joshua Reynolds (1723-1792), e Paul Sandby (1725-1809), un membro fondatore della Royal Academy.

schematizzazione di una camera obscura. Immagine di pubblico dominio tramite Wikipedia
schematizzazione di una camera obscura. Immagine di pubblico dominio tramite Wikipedia

Nel 1646 il gesuita Kircher e l’olandese Christiaan Huygens realizzarono una camera oscura dalle enormi dimensioni pieghevole, tale da poter ospitare al suo interno comodamente più di una persona (lo stesso Kircher inventò la lanterna magica, ovvero il primo proiettore, ma è un’altra storia).  Che gli scienziati e gli artisti lo considerassero uno strumento sia per aiutare la rappresentazione grafica, sia per accertare le verità della natura è evidente dalla descrizione del filosofo olandese Constantijn Huygens circa l’immagine come “la vita stessa, qualcosa di così raffinato che le parole non possono dire“.

Lenti migliori hanno reso l’immagine più nitida, e gli specchi hanno corretto l’inversione e proiettato l’immagine su una superficie più comoda per il disegno. I modelli portatili erano popolari tra i geografi e gli artisti europei, e la camera obscura era oramai divenuta qualcosa di cui non poter più fare a meno.

Infine, nel 1657 fu il gesuita Kaspar Schott (1608 – 1666) ad inventare la camera oscura dotata di messa a fuoco: realizzò in pratica due scatole di cui una scorrevole dentro la prima. Muovendo avanti ed indietro la seconda, era possibile modificare la messa a fuoco dell’immagine.

Lochkamera (camera obscura) di Kaspar Schott.  Opera di pubblico dominio proveniente dall’archivio Deutsche Fotothek
Lochkamera (camera obscura) di Kaspar Schott. Opera di pubblico dominio proveniente dall’archivio Deutsche Fotothek

Il 1685 segnò un altro momento importante per la fotografia, in quanto fu concettualizzata la macchina fotografica Reflex: il tedesco Johann Zahn, infatti, applicò nella camera oscura uno specchio posizionato a 45° dinanzi alla parete opposta al buco stenopeico. Sulla sommità della camera oscura posizionò un vetro smerigliato che riceveva l’immagine ribaltata dallo specchio: questa invenzione permise ai pittori di disegnare i panorami stando comodamente seduti ed appoggiando le tele al di sopra di questo vetro.

Proprio a tale proposito, bisogna dire che la camera oscura ebbe anche un ulteriore campo di applicazione: la pittura. Tantissimi pittori (come già accennato qualche pagina fa) infatti usarono la camera oscura per riprodurre fedelmente i paesaggi proiettati sulla tela tramite il foro stenopeico, tra cui anche nomi italiani altisonanti quali il Canaletto, RaffaelloCaravaggio. Proprio riguardo a quest’ultimo ci sono prove piuttosto importanti riguardo all’uso della camera obscura: l’assenza di schizzi e bozzetti, il fatto che buona parte dei suoi soggetti fossero mancini (l’immagine ribaltata) e lo stesso sfondo molto scuro (dovuto, in teoria, al fatto che il suo studio era immerso nel buio in quanto, appunto, una camera oscura). Lo stesso Caravaggio sembra abbia usato alcune sostanze chimiche per “fissare” l’immagine sulla tela per qualche minuto, al fine di poter abbozzare il disegno stesso al fine di concluderlo “diritto” ed un ambiente differente.

Ma intanto che si sviluppavano soluzioni fotografiche di base, come veniva spiegato il principio alla base della fotografia? Ovviamente in modo molto…empirico. Pensate che nel corso di tutto XVIII secolo, tramite letteratura e grafica si è parlato e cercato di spiegare in modo molto fantasioso i fenomeni causati dai raggi di luce. Possiamo ricordare tra l’altro l’opera di fantasia Giphantie di Tiphaigne de la Roche: una tela come specchio che trattiene immagini che la luce trasmette.

Le vere e proprie camere oscure, utilizzate dagli artisti per migliorare l’accuratezza delle loro rappresentazioni, sono state occasionalmente mostrate in alcuni ritratti del tempo, quasi a suggerire che il ritratto fosse un’immagine veritiera dell’individuo raffigurato. L’interesse a trascrivere fedelmente il mondo visibile dal punto di vista dell’individuo ha portato all’invenzione di altri dispositivi oltre alla camera obscura. Ad esempio, la camera lucida, inventata da William Hyde Wollaston nel 1807: si tratta di una camera dove un prisma e di un obiettivo sono disposti un supporto che permette al disegnatore di fissare un oggetto distante sovrapposto alla carta da disegno, rendendo teoricamente più facile la trascrizione.

Nota: Per dare un’idea dei costi nei primi giorni della fotografia, si sa che nel 1839 Fox Talbot comprò diversi strumenti, tra cui una camera oscura per sette sterline e quindici scellini (7,75 sterline). A quel tempo il tipico stipendio di un servo sarebbe stato in media tra le dieci e le venti sterline all’anno.