mercoledì, Aprile 9, 2025

Closter

La Closter rappresenta uno dei capitoli meno noti, ma decisivi, della storia dell’industria fotografica italiana. Fondata a Roma nel 1949 da un gruppo di ex dipendenti della Rectaflex – l’azienda che, l’anno precedente, aveva lanciato una fotocamera rivoluzionaria – la Closter nacque con un obiettivo ben definito: realizzare uno strumento fotografico di buona qualità, accessibile a un pubblico sempre più vasto. Fin dal suo esordio, l’azienda si propose come alternativa economica nel segmento del “lusso” fotografico, tanto da presentare il suo primo modello, la Closter I, al prezzo di 15.000 Lire. Pur essendo concepita come una fotocamera a mirino galileiano, simile alle copie delle Leica, il modello si caratterizzava per un’ottica fissa in montatura rientrante e un otturatore a lamelle con una gamma di velocità piuttosto limitata. Una proposta che, sebbene ben costruita, veniva etichettata – forse con una certa esagerazione – come l’apparecchio di lusso più economico sul mercato.

In un’epoca in cui i modelli di fascia alta potevano superare i 100.000 Lire, le soluzioni tecniche adottate da Closter, pur rimanendo più semplici, rispondevano efficacemente alle esigenze di un mercato in rapido mutamento. L’assenza di sofisticati sistemi di messa a fuoco, come il telemetro che caratterizzava gli apparecchi più prestigiosi, era compensata da una robustezza costruttiva e da una proposta economica che rendeva la fotografia di qualità più accessibile a un pubblico ampio e variegato.

Il 1950 segnò l’inizio di una rapida evoluzione: fu introdotta la Closter II, seguita, nel 1952, dalla Closter IIA, proposta in due versioni che si distinguevano principalmente per la velocità massima dell’otturatore – 1/200 per la versione II e 1/300 per quella IIA. Con queste innovazioni, l’azienda dimostrava una capacità di rispondere alle crescenti richieste del mercato, offrendo prodotti che, pur non raggiungendo i livelli tecnologici dei concorrenti tedeschi, si distingueva per il loro eccellente rapporto qualità-prezzo.

Parallelamente a queste soluzioni, negli stessi anni vennero introdotti altri modelli che ampliarono la gamma Closter. La linea Princess, lanciata nel 1952, si contraddistingueva per l’integrazione di un telemetro – una caratteristica che le conferiva un valore aggiunto rispetto alle altre fotocamere della stessa categoria – e veniva commercializzata a 28.500 Lire, posizionandosi in modo competitivo sul mercato. A essa si affiancava la versione più economica, la Princess Junior, che pur mantenendo l’essenza del modello principale, rinunciava al sistema di messa a fuoco telemetrico per contenere ulteriormente i costi.

Negli anni successivi, l’offerta Closter si espanse ulteriormente: nel 1953 fece la sua comparsa la Closter IIb, mentre nel 1957 vennero presentati i modelli Princess S e Sport. Quest’ultimo, in particolare, si distinse per la sua semplicità ed economicità, proponendosi in diverse versioni e colorazioni. Le varianti del modello Sport differivano soprattutto per il sistema di sbloccaggio del riavvolgimento della pellicola, consentendo agli utenti una scelta più mirata in base alle proprie necessità. Già nel 1959, l’azienda diversificò ulteriormente la propria offerta introducendo due modelli destinati al classico rullino 135 – la Princess 2 e la Princess Record – insieme a due apparecchi che sfruttavano la pellicola in rullo formato 127, noti come Closter Olimpic e Closter Standard. Quest’ultimo, seppur dotato di regolazioni limitate sia nei tempi di scatto che nei diaframmi, veniva offerto in sei diverse colorazioni, rendendolo particolarmente apprezzato da chi cercava un’opzione economica ma funzionale.

Con l’avvento degli anni Sessanta, la Closter si concentrò sulla produzione di una serie di fotocamere 35 mm a basso costo, introducendo modelli quali C60, C61, C62 e C63. Questi dispositivi, pur mantenendo le caratteristiche di semplicità e funzionalità, rappresentavano un’evoluzione naturale nel contesto della democratizzazione della fotografia. In questo periodo cruciale, l’azienda decise di trasferirsi da Roma a Milano, assumendo la nuova denominazione di Nuova Closter. Il nuovo stabilimento, situato nel dinamico quartiere di Lambrate, segnava non solo un cambio geografico, ma anche un tentativo di rinnovare l’immagine aziendale e di confrontarsi con un mercato sempre più competitivo.

Nonostante il trasferimento e l’introduzione di modelli ancora più semplificati, come quelli denominati Sprint, Derby e Standard III, la spinta innovativa che aveva caratterizzato i primi anni di attività sembrava essersi esaurita. La crescente concorrenza, sia nazionale che internazionale, rese il modello di business di Closter insostenibile nel lungo periodo, portando l’azienda a cessare la produzione degli apparecchi intorno alla metà degli anni Sessanta.

L’eredità della Closter, tuttavia, va oltre la semplice produzione di fotocamere. L’azienda incarna lo spirito imprenditoriale e innovativo di un’Italia del dopoguerra, in cui la necessità di rendere la fotografia accessibile si tradusse in soluzioni concrete, pur senza poter competere con le tecnologie più avanzate di altri mercati. I fondatori, con la loro visione, riuscirono a coniugare qualità e prezzo, aprendo la strada a un segmento di mercato che avrebbe permesso a molti appassionati di approcciarsi al mondo dell’immagine senza dover sostenere costi esorbitanti.

Oggi, le fotocamere Closter sono diventate oggetti di culto per i collezionisti e gli appassionati di fotografia vintage. Esse testimoniano un’epoca in cui il rapporto tra fotografo e macchina era caratterizzato da un’immediatezza e da una dedizione che raramente si riscontra nei dispositivi moderni. Il design sobrio e funzionale dei modelli Closter, unito alla loro affidabilità, continua a ispirare chi guarda indietro a quegli anni di fermento tecnologico e creativo.

In conclusione, la storia della Closter è un esempio emblematico della vivacità dell’industria fotografica italiana negli anni Cinquanta e Sessanta. L’azienda, nata da un’iniziativa coraggiosa di ex dipendenti desiderosi di innovare, ha saputo creare fotocamere che, pur non essendo dotate delle più sofisticate tecnologie del tempo, hanno offerto un equilibrio perfetto tra qualità e accessibilità. Il percorso che va dalla nascita a Roma nel 1949 fino al trasferimento e al successivo declino a Milano racconta una storia di ambizione, adattamento e creatività. La Closter, con la sua eredità, invita oggi a riscoprire e apprezzare un periodo fondamentale per la fotografia italiana, dove ogni apparecchio era molto più di un semplice strumento: era un compagno di viaggio, capace di immortalare momenti unici e irripetibili, e di rappresentare un’epoca di grande innovazione e passione per l’arte dell’immagine.

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