Il 1883 è la data storica per tutta la fotografia: una piccola azienda americana mise in vendita una fotocamere in grado di separare nel tempo i processi di preparazione, ripresa, sviluppo della foto e stampa della stessa. Quella ditta era la Kodak (morta poi nel 2012) e quella fotocamera (inventata dal grandissimo George Eastman) era la prima vera macchina fotografica: al suo interno vi era un rullo ci carta speciale (il primo rullino in pratica, inventato sempre da Eastman: si trattava della prima pellicola flessibile mai realizzata in serie, basato sull’invenzione dell’ingegnere polacco Leon Warnerke che nel 1875 inventò la pellicola in rullo su supporto di carta) che, muovendosi, permetteva di scattare fino a 100 foto (si trattava di una striscia di carta cosparsa di emulsione sensibile arrotolata su se stessa). I fotografi potevano in questo modo scattare cento pose e quindi, a fine rullo, riportare la macchina alla Kodak. Gli esperti dell’azienda ricaricavano la macchina con un nuovo rullo e sviluppavano le fotografie fatte con quello usato.
Il modello in questione, commercializzato nel 1888, venne chiamato semplicemente Box Kodak, venduto a circa 25 dollari e fu pubblicizzata con uno slogan tra i più famosi in assoluto: You press the button, we do the rest. Il costo di sviluppo era pari a 10 dollari e comprendeva anche la stampa del negativo nonché l’inserimento della macchina fotografica di un nuovo rullo da 100 esposizioni e la spedizione a casa del cliente, operazione che poteva richiedere da 5 a 10 giorni, a seconda degli agenti atmosferici (come era fedelmente riportato sul libretto delle istruzioni della Box Kodak). Il 1888 è quindi l’anno della svolta, l’anno della democratizzazione della fotografia, l’anno in cui tutti, ma proprio tutti, possono acquistare un apparecchio fotografico e scattare in totale autonomia quante fotografie volevano.
Il concetto di rullino fotografico rappresenta un passo importante nell’evoluzione della fotografia verso la praticità e l’accessibilità. Questo concetto si basa sull’idea di utilizzare una pellicola in rotolo, che ha una storia che risale al 1854 quando l’inventore britannico Arthur James Mellmish ne propose per la prima volta l’uso. Tuttavia, la vera rivoluzione si verificò nel corso degli anni successivi, grazie a sviluppi tecnologici e concettuali che avrebbero cambiato per sempre il modo in cui le persone concepivano e praticavano la fotografia.
All’inizio, l’uso di emulsioni di gelatina su supporto di carta richiedeva un complesso processo di “spogliatura”, ovvero il trasferimento dell’emulsione dalla carta al vetro prima di poter essere sviluppata e stampata. Questo processo era laborioso e richiedeva una serie di passaggi tecnici. Tuttavia, negli anni successivi, grazie a importanti innovazioni, il rullino fotografico iniziò a prendere forma in modo più pratico e conveniente.
Il passaggio alla pellicola trasparente in rotolo di celluloide nel 1889 rappresentò una pietra miliare fondamentale. Questa nuova pellicola permetteva ai fotografi di catturare immagini su un supporto trasparente, eliminando la necessità di spogliare l’emulsione e semplificando il processo complessivo. Questa innovazione ha segnato il punto di partenza per la creazione di rullini fotografici moderni, rendendo più facile e conveniente la registrazione delle immagini.
Nel 1895, un ulteriore sviluppo ha contribuito a consolidare il concetto di rullino fotografico. L’aggiunta di un supporto di carta alla pellicola consentiva di caricare il rullino alla luce del giorno, semplificando ulteriormente l’uso e l’accessibilità. Questa nuova tecnologia ha permesso alle persone di scattare foto in modo più flessibile e immediato, aprendo le porte alla fotografia amatoriale e rendendo possibile catturare momenti quotidiani con maggiore facilità.
L’invenzione del rullino fotografico ha innescato un’accelerazione senza precedenti nell’evoluzione della fotografia, aprendo la strada a una serie di sviluppi tecnologici che hanno rivoluzionato il modo in cui le immagini vengono catturate, elaborate e condivise. Questo cambiamento di paradigma ha avuto impatti duraturi su vari aspetti della fotografia e ha reso possibile l’esplorazione di nuove frontiere creative.
Una delle evoluzioni più significative è stata l’ottimizzazione della sensibilità al colore delle pellicole in bianco e nero. Questo miglioramento ha avuto inizio durante l’era del collodio, un processo chimico utilizzato per rivestire le lastre fotografiche con un’ematina sensibile alla luce. Hermann Wilhelm Vogel, un fotochimico tedesco di spicco, è stato uno dei pionieri in questo campo. Nel 1873, Vogel introdusse la “sensibilizzazione ottica”, aggiungendo coloranti alle emulsioni di bromuro d’argento. Questo ha portato alla creazione delle prime lastre ortocromatiche, che erano sensibili a tutte le tonalità di colore tranne il rosso e sovrasensibili al blu. Questo passo avanti è stato fondamentale per catturare dettagli e contrasti nelle immagini, ampliando le possibilità creative dei fotografi.
Con l’avanzare della tecnologia, la pellicola in bianco e nero ha iniziato a cedere il passo alle pellicole pancromatiche, che erano sensibili a tutte le lunghezze d’onda dello spettro visibile. Tuttavia, queste pellicole richiedevano ancora l’uso di filtri colorati per controllare l’esposizione alla luce blu. È stato Adolphe Miethe, operando per conto di Agfa Germania nel 1903, a compiere esperimenti decisivi che hanno portato alla creazione di pellicole pancromatiche che eliminavano la necessità di filtri aggiuntivi. Questo passo avanti ha aperto la strada a una rappresentazione fotografica più accurata dei colori, aprendo nuove possibilità artistiche e creative.
L’evoluzione delle pellicole fotografiche ha avuto un effetto a catena, stimolando ulteriori scoperte e innovazioni nel settore. L’uso di pellicole pancromatiche ha reso possibile una rappresentazione più fedele del mondo reale e ha contribuito alla crescita della fotografia artistica e documentaristica. Questi sviluppi hanno anche favorito l’adozione di processi di sviluppo e stampa più avanzati, contribuendo a definire la fotografia come la conosciamo oggi.
La permanenza e la scala tonale delle carte da stampa erano problemi difficili da risolvere in modo soddisfacente a causa delle numerose variabili (come le condizioni atmosferiche, la qualità dell’acqua, la quantità e l’accuratezza dei lavaggi) che hanno caratterizzato le procedure di stampa fotografica in quel periodo. Nonostante le sue prestazioni non uniformi, la carta all’albumina ha continuato ad essere fabbricata ed utilizzata fino alla fine del XIX secolo, ma si stavano sviluppando nuove carte per rispondere all’esigenza di una definizione più nitida e una stampa più veloce, causa dell’uso sempre più massiccio delle immagini, comparse anche su giornali e riviste. Furono prodotti due tipi di carte da stampa: carta da stampa e carta da sviluppo. Le carte in emulsione gelatina-argento-cloruro (commercializzate negli Stati Uniti con i nomi Aristotype e Solio) che non richiedevano alcuno sviluppo chimico, divennero disponibili nel 1890, mentre lo sviluppo di carte patinate con emulsioni al bromuro d’argento divenne popolare alla fine degli anni Ottanta del XIX secolo, anche se questo prodotto era stato introdotto già nel 1873. Anche la carta gelatina-argento-cloruro per la stampa con luce a gas (nota come Velox) apparve intorno al 1890.
All’epoca in cui questi materiali venivano prodotti per soddisfare le esigenze commerciali, la carta di platino (basata sulla scoperta della sensibilità alla luce del cloruro di platino da parte di John Herschel) fu prodotta in Inghilterra con il nome commerciale di Platino type. Questo costoso materiale si rivolgeva a professionisti benestanti e a fotografi professionisti che richiedevano una carta da stampa permanente con una lunga scala tonale.
La standardizzazione delle carte da stampa fotografica andava di pari passo con l’automazione della stampa stessa su larga scala. Le nuove macchine installate dalle grandi aziende fotografiche, come la Automatic Photographs di New York e la Loescher e la Petsch di Berlino furono in grado, ad esempio, di esporre 245 immagini al minuto i e di stampare quotidianamente sulla nuova carta al bromuro ad azione rapida.
Senza dubbio, una delle evoluzioni più rivoluzionarie nella storia della fotografia è stata l’introduzione della fotografia in movimento, che alla fine ha portato alla creazione delle cineprese. Questa pietra miliare fu raggiunta nel 1878 grazie all’ingegno del fotografo inglese Edward Muybridge. La sua geniale idea di sfruttare la sequenza di immagini per creare l’illusione del movimento ha gettato le basi per l’industria cinematografica che sarebbe emersa negli anni successivi.
L’innovativo esperimento di Muybridge coinvolse l’installazione di ben 24 apparecchi fotografici lungo una pista da corsa per cavalli. Questi dispositivi furono orchestrati tramite un filo teso lungo la pista: quando il cavallo attraversava il filo, azionava le fotocamere che catturavano le immagini del cavallo in movimento. In pratica, Muybridge riuscì a catturare una sequenza di 24 fotografie del cavallo in diversi istanti della sua corsa. Questo fu il primo esempio concreto di fotografia in movimento, un precursore diretto dei futuri filmati cinematografici.
L’importanza di questa scoperta non si limita al suo valore come primo esperimento di filmato. La sequenza di immagini catturate da Muybridge non solo ha svelato l’essenza del movimento, ma ha anche rivelato un aspetto inatteso: gli zoccoli del cavallo si sollevavano contemporaneamente dal terreno, ma in posizioni leggermente differenti. Questa scoperta ha avuto un impatto significativo non solo sulla fotografia, ma anche sul mondo dell’arte in generale. I pittori, fino ad allora impegnati nel tentativo di catturare il movimento con una precisione limitata, hanno iniziato a ricorrere sempre di più alla fotografia come strumento di riferimento per riprodurre con maggior verosimiglianza la realtà in movimento.
L’invenzione di Muybridge ha gettato le basi per il futuro del cinema e dell’animazione, dimostrando come la fotografia potesse essere sfruttata per catturare e riprodurre l’azione in maniera sorprendentemente realistica. Questo ha aperto la strada a una nuova forma di espressione visiva che avrebbe influenzato profondamente l’arte, l’intrattenimento e la cultura moderna. La fotografia in movimento di Muybridge rappresenta un capitolo cruciale nella storia dell’immagine in movimento e un punto di svolta nella convergenza tra fotografia e cinematografia.
Nel panorama delle innovazioni fotografiche del tardo XIX secolo, una figura rilevante è quella di Francesco Negri, il quale nel 1886 ottenne il brevetto per il primo teleobiettivo della storia. Questo rappresentò un passo significativo nell’evoluzione delle lenti fotografiche e aprì nuove prospettive creative per i fotografi dell’epoca. Il teleobiettivo consentiva di catturare immagini a distanze maggiori rispetto alle lenti standard, aprendo nuove possibilità per la fotografia di paesaggi, eventi sportivi e soggetti in movimento.
Parallelamente a queste innovazioni tecniche, si assistette anche alla crescita dell’industria fotografica in diverse parti del mondo. Nel 1886, contemporaneamente all’invenzione del teleobiettivo da parte di Negri, venne fondata la Murer & Duroni, un’azienda che avrebbe acquisito un ruolo di spicco nel mercato degli apparecchi fotografici in Italia. Questa ditta si affermò come leader nel settore e contribuì in modo significativo alla diffusione e alla promozione della fotografia nel paese. La sua influenza sarebbe stata sentita ancora per decenni, fino almeno agli anni ’30, quando nuove tecnologie e tendenze avrebbero ulteriormente trasformato il panorama fotografico.
L’ascesa della Murer & Duroni testimonia l’importanza crescente che la fotografia stava assumendo nella società dell’epoca. L’azienda non solo fornì strumenti di alta qualità ai fotografi professionisti e amatoriali, ma contribuì anche alla creazione di una cultura visiva sempre più diffusa. L’accessibilità agli apparecchi fotografici e alle tecnologie correlate giocò un ruolo fondamentale nel rendere la fotografia una forma d’arte e di comunicazione sempre più accessibile a un pubblico più ampio.
Nel panorama delle innovazioni del 1888, spicca la figura di Thomas Edison, noto inventore e imprenditore americano, che presentò una creazione destinata a rivoluzionare il mondo visivo e dell’intrattenimento: il kinetoscopio. Questo dispositivo può essere considerato l’antesignano della cinepresa, e la sua introduzione rappresentò un passo significativo verso la nascita del cinema come lo conosciamo oggi.
Il kinetoscopio era un dispositivo che consentiva la visualizzazione di sequenze di immagini in movimento, prefigurando il concetto di proiezione cinematografica. Edison e il suo gruppo lavorarono a lungo per sviluppare questa innovazione, utilizzando una striscia di pellicola perforata che scorreva velocemente davanti a una lente. Le immagini erano visualizzate attraverso un oculare, creando l’illusione del movimento quando la pellicola veniva fatta scorrere rapidamente.
L’introduzione del kinetoscopio segnò un importante punto di svolta nella storia dell’intrattenimento visivo. Mentre il dispositivo in sé non consentiva la proiezione pubblica su grande scala, rappresentò il primo passo verso la creazione di film e la possibilità di catturare e riprodurre scene di vita reale. Questa invenzione aprì la strada a ulteriori sviluppi tecnologici, tra cui l’invenzione della cinepresa vera e propria e la proiezione cinematografica.
Da un punto di vista storico, l’introduzione del kinetoscopio gettò le basi per l’industria cinematografica e segnò l’inizio di una nuova era dell’intrattenimento visivo. L’idea di catturare il movimento attraverso sequenze fotografiche e riprodurlo su uno schermo avrebbe cambiato per sempre il modo in cui le persone sperimentavano e interagivano con le immagini. L’anno 1888, con la presentazione del kinetoscopio da parte di Edison, rappresenta quindi un tassello fondamentale nella storia del cinema e nell’evoluzione delle tecnologie visive.
Mentre nel 1890 venne commercializzato il primo obiettivo anastigmatico (un Protar con f/7,5), nel 1891 Kodak lavorò sui rulli fotografici, cercando di renderli ancora più pratici, al punto da mettere in condizioni chiunque di sostituirli negli apparecchi fotografici (nonostante il prezzo della Box Kodak non fosse proprio bassissimo vendettero tantissimi apparecchi, tanto da avere problemi nello smaltire le richieste di “ricarica”). A tal scopo fu introdotto una sorta di involucro esterno in grado di preservare la pellicola alla luce: a partire da questo momento era quindi possibile sostituire le pellicole alla luce del sole (è il padre dei rullini fotografici che abbiamo maneggiato fino a qualche anno fa).
Nello stesso anno (1891) un fisico francese, Gabriel Jonas Lippmanm, realizzò la prima vera fotografia a colori da singolo scatto (cosa che gli valse addirittura un Nobel per la fisica, conferitogli nel 1906). Lippmann realizzò una lastra a colori utilizzando l’interferenza delle onde dell’immagine con la loro stessa riflessione su uno specchio di mercurio posto dietro l’emulsione sensibile. Ogni raggio di luce catturato impressiona in modo differente la lastra, in funzione della lunghezza d’onda del raggio di luce stesso.
Il 1899 segna un momento pionieristico nella storia della fotografia con l’innovazione del fotografo e biologo francese Louis Marie-Auguste Boutan, che ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della fotografia subacquea. Già nel 1893, Boutan aveva inventato la prima macchina fotografica subacquea (realizzata nei successivi 6 anni), aprendo nuove possibilità di esplorazione e documentazione dei segreti del mondo subacqueo.
L’innovazione di Boutan era un passo audace nell’applicazione della fotografia in ambienti marini. La macchina fotografica subacquea da lui creata era progettata per resistere all’acqua e catturare immagini nei fondali marini, consentendo agli studiosi e agli appassionati di esplorare l’universo sottomarino in modi prima impensabili. Questa invenzione ha segnato l’inizio della fotografia subacquea come disciplina autonoma e ha aperto nuove opportunità di ricerca, documentazione e scoperta nei mari e negli oceani del mondo.
La prima fotografia subacquea realizzata da Boutan nel 1899 è un esempio tangibile di come l’ingegno umano e la passione per la fotografia abbiano portato a superare le sfide tecniche e ambientali. Questi sforzi hanno gettato le basi per l’ulteriore sviluppo della fotografia subacquea nel corso dei decenni successivi, contribuendo alla nostra comprensione dell’ecosistema marino e permettendo di condividere con il mondo la bellezza e la meraviglia dei fondali sottomarini.