La nascita della Franka Kamerawerk nel 1909 coincise con un momento cruciale per la fotografia europea. Franz Vyskocil e la moglie Leoni avviarono inizialmente un’attività di riparazione e vendita di apparecchi fotografici a Stoccarda, trasferendosi presto a Bayreuth per sfruttare il bacino di manodopera specializzata della regione francone1. La scelta di Bayreuth non fu casuale: la città ospitava già una fiorente industria metallurgica e orologiaia, competenze trasversali essenziali per la produzione di fotocamere.
Il primo modello significativo, la Franka-Kamera del 1913, era una fotocamera a lastre in metallo stampato con obiettivo a mensola fissato a vite. Utilizzava lastre 9×12 cm con un sistema di messa a fuoco a estensione tubolare, caratterizzato da una ghiera dentata in ottone che permetteva regolazioni con precisione di ±0,5 mm. L’otturatore, di tipo guillotine, offriva tempi di 1/25s, 1/50s e posa B, azionato da una leva laterale in acciaio temprato. La vera innovazione stava nel processo produttivo: l’uso di stampi per la pressofusione delle componenti in zinco-alluminio ridusse i costi del 40% rispetto alle tecniche di lavorazione manuale allora dominanti.
Durante la Prima Guerra Mondiale, la produzione si orientò verso apparecchiature per uso militare, sviluppando la Feldkamera Mod.1915, una fotocamera da trincea con corpo impermeabilizzato in gommalacca e otturatore a doppia tendina in tela gommata. Questo modello introdusse il concetto di modularità: l’obiettivo Schneider-Kreuznach 135mm f/6.3 poteva essere sostituito con un telemetro ottico per uso topografico, anticipando di decenni i sistemi a obiettivi intercambiabili.
Nel 1925, con l’avvento delle pellicole a rullo, Franka rivoluzionò il proprio catalogo con la serie Rolfix. La versione base, lanciata nel 1935, utilizzava il formato 6×9 cm su pellicola 120, con un corpo pieghevole in alluminio anodizzato spesso 1,2 mm. Il meccanismo di apertura a molla bilanciata permetteva di estendere il soffietto in meno di 2 secondi, mentre l’otturatore Compur-Rapid garantiva tempi fino a 1/400s4. L’innovazione chiave risiedeva nel sistema di avanzamento della pellicola a doppia frizione: una leva principale avanzava il film, mentre un ingranaggio secondario con molla a spirale manteneva la tensione costante, eliminando il rischio di slittamento dei fotogrammi.
L’Età d’Oro delle Fotocamere Pieghevoli e l’Espansione Internazionale (1936-1955)
Gli anni Trenta segnarono l’apice tecnologico della Franka Kamerawerk, con l’introduzione di soluzioni meccaniche che divennero standard industriali. La Solida I (1951) rappresentò il culmine di due decenni di perfezionamenti nel campo delle fotocamere pieghevoli. Il corpo in magnesio pressofuso ridusse il peso a 650g, mentre il sofisticato sistema di bloccaggio del soffietto utilizzava una leva a camma conica in bronzo fosforoso, garantendo una tenuta ermetica contro la luce parassita5.
L’elemento più rivoluzionario della Solida fu l’obiettivo Radionar 80mm f/2.9 prodotto da Schneider-Kreuznach. Questo tripletto ottico modificato impiegava vetri al torio per correggere le aberrazioni cromatiche secondarie, ottenendo una risoluzione di 68 linee/mm al centro e 42 linee/mm ai bordi a piena apertura. L’accoppiamento tra otturatore Prontor-SVS e diaframma a iride a 10 lamelle permetteva una regolazione continua dell’esposizione attraverso un sistema a cremagliera dentata con rapporto 1:1,25.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Franka diversificò la produzione verso componenti ottici per dispositivi militari. Questo periodo portò allo sviluppo del trattamento antiriflesso a singolo strato applicato sulle lenti dei mirini, una tecnologia successivamente adottata negli obiettivi fotografici del dopoguerra. I laboratori aziendali misero a punto un particolare tipo di vetro ottico a bassa dispersione (denominato FK1), con indice di rifrazione nd=1,612 e numero di Abbe vd=56,8, ideale per correggere l’aberrazione sferica nei grandangolari.
Nel 1955, con la Frankamatic Lux, l’azienda introdusse il primo esposimetro al selenio integralmente accoppiato a otturatore e diaframma. Il sistema utilizzava una cellula fotoelettrica circolare da 18mm collegata a un galvanometro a specchio che proiettava un indice luminoso direttamente nel mirino. La scala di sensibilità ASA 10-400 veniva impostata attraverso una ghiera dentata che regolava la tensione del circuito elettromeccanico, con una precisione di ±0,5 EV.
La Sfida del Formato Ridotto e le Fotocamere 16mm (1956-1966)
L’avvento del formato 35mm impose a Franka una radicale riconversione tecnologica. La risposta arrivò nel 1958 con la serie Edixa 16, sviluppata in collaborazione con Wirgin. Queste fotocamere subminiatura utilizzavano pellicola 16mm perforata in caricatori proprietari, permettendo 50 esposizioni 10×14mm. Il cuore tecnico era l’otturatore rotativo a disco in titanio spesso 0,1mm, capace di raggiungere 1/500s con un errore di temporizzazione inferiore al 5%.
L’Edixa 16 montava un obiettivo Enna Haponar 25mm f/2.8 con messa a fuoco per scale di distanza. La particolarità ottica risiedeva nel gruppo frontale asferico, lavorato a singhiozzo per correggere la distorsione a cuscinetto, ridotta a soli 1,2% a 25cm di distanza. Il mirino galileiano incorporava un telemetro a immagine divisa con base di 38mm, una soluzione innovativa per il formato ridotto.
Parallelamente, Franka sviluppò la Solida Record III (1960), ultima evoluzione delle pieghevoli medio formato. Questo modello introdusse il sistema di doppia esposizione preventivata: un contatore meccanico a croce maltese bloccava l’otturatore dopo ogni scatto, prevenendo sovraesposizioni accidentali. Il corpo in lega di alluminio EA-105 riceveva un trattamento superficiale al cromo duro spessore 15μm, aumentando la resistenza all’abrasione del 70% rispetto alle finiture tradizionali.
Tecniche Produttive e Materiali Innovativi
La longevità tecnica delle fotocamere Franka derivava da scelte costruttive all’avanguardia. I soffietti utilizzavano una triplice stratificazione: tessuto di lino gommato per l’impermeabilità, intercapedine in amianto termoresistente e fodera interna in seta vulcanizzata. Questo composito garantiva una durata media di 50.000 cicli di apertura/chiusura senza perdite di flessibilità.
Nei modelli degli anni Cinquanta, Franka adottò una particolare lega di magnesio-zinco (MgZn6) per i corpi macchina. Con densità di 1,8 g/cm³ e resistenza alla trazione di 290 MPa, questo materiale offriva il miglior rapporto peso-resistenza dell’epoca, superiore persino alle leghe aeronautiche contemporanee1. I processi di stampaggio a caldo a 420°C permettevano tolleranze dimensionali di ±0,05mm, eliminando la necessità di lavorazioni secondarie.
L’attenzione all’ergonomia portò allo sviluppo del pulsante di scatto a doppio stadio nella Frankamatic Lux (1961). Il primo stadio attivava l’esposimetro con una corsa di 2mm e una forza di 1,2N, mentre il secondo stadio azionava l’otturatore a 4mm con 2,5N, prevenendo scatti accidentali. Il meccanismo utilizzava una molla conica in acciaio armonico SAE 9254, trattata termicamente per 300.000 cicli garantiti.
L’Interruzione della Produzione e il Patrimonio Tecnologico
Nonostante le innovazioni, la pressione competitiva giapponese e i costi crescenti portarono alla chiusura nel 1966. L’ultimo modello prodotto, la Franka SL100, anticipava concetti poi ripresi dalla fotografia reflex. Utilizzava un pentaprisma in vetro ottico BK7 con trattamento antiriflesso a 4 strati, offrendo una copertura del 92% del fotogramma 35mm. Il sistema di controllo dell’esposizione TTL (Through The Lens) impiegava una cellula al CdS con lettura media ponderata al centro, precorrendo di un decennio le soluzioni elettroniche di massa.
Il lascito tecnologico di Franka sopravvive nei moderni sistemi di otturatori a tendina e nei principi di ergonomia meccanica. Le soluzioni pionieristiche nell’accoppiamento esposimetrico e nei materiali compositi continuano a influenzare la progettazione fotografica, dimostrando che l’innovazione può nascere anche dalla produzione seriale accessibile.
articolo aggiornato il 01/04/2025